giovedì 12 marzo 2015

Rosalie


Francia, 1966
16 min.
Regia di Walerian Borowczyk

 
Rosalie, cameriera presso la famiglia Varambot dopo essere stata sedotta da un giovane militare nipote di questi ultimi racconta a noi, la sua giuria immaginaria, lo sconcerto e il successivo adattamento all’idea di avere un bambino nella sue complicate condizioni economiche e familiari e come messa di fronte all’inaspettato arrivo di due gemelli la giovane abbia perso la testa e soffocato i due piccoli.


 
In questo lungo piano fisso su un volto di risplendente bellezza, a cui si alternano nel corso della storia solo alcuni inserti di oggetti che fungono da prova in un processo, Borowczyk raggiunge i vertici della sua arte, la quale si realizza al massimo nell’esaltazione totale, nella purezza stordente dei mezzi e nell’impatto massimo che il suo spettatore, come sempre trattato da adulto molto intelligente e consapevole, può tollerare. La confessione di Rosalie, matricida per il rifiuto di una responsabilità troppo pesante – un figlio illegittimo si può sopportare, ma non due, ed ecco perché li seppellisce in due luoghi diversi, e con uno scrupolo lacerante – ha qualcosa di ipnotico, che pietrifica lo spettatore. Borowczyk ci riduce nel ruolo muto, fatale e non premeditato di giudici e di giuria, spingendoci verso il proscioglimento della sua eroina. I nostri preconcetti svaniscono come le prove, una scatola da cucito, una vanga, delle lenzuola macchiate, che provano il crimine e allo stesso tempo lo cancellano. Davanti al tribunale degli oggetti inanimati, come a quello delle coscienze attente, Rosalie inverte l’ordine della morale e svela, senza rendersene conto, un altro crimine, questo sì imperdonabile: l’indifferenza, l’abbandono, la disperazione di chi è solo ed emarginato. Borowczyk dispone di un registro illimitato, quello della tensione, che egli sa dosare in modo magistrale, ma anche quello dell’ampiezza vettoriale che gli consente di caricare al massimo lo spazio che egli ha scelto come teatro. All’interno di questo spazio, schiude un universo.
Robert Benayoun






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