venerdì 21 novembre 2014

To agori troei to fagito tou pouliou


Grecia, 2012
80 min.
Scritto e diretto da  Ektoras Lygizos

 
Il corpo come ultima spiaggia del naufrago, il cibo come ultima speranza nascosta nella disperazione del vivere. Un vivere ridotto alle operazioni più elementari: ingurgitare, digerire, dormire, bere, ruttare, vomitare, copulare, orinare, defecare, nel tentativo di eliminare, assieme alle sostanze vitali, anche le scorie dell’ideologia borghese. Non fosse per la chiusa queste parole scritte da Alberto Scandola a proposito de La grande abbuffata si adatterebbero perfettamente al lungometraggio d’esordio di  Ektoras Lygizos. Il cibo, o perlomeno la sua risonante assenza è il protagonista di quest’ennesima cruda prova del nuovo cinema greco che ci racconta l’effetto paradosso delle divinità iperalimentate, un universo in cui i frigoriferi svuotati dagli alimenti ospitano solo medicinali, dove i contenitori di plastica degli ovetti Kinder servono a contenere i pochi spiccioli raccattati a volte riposti negli immancabili contenitori impilabili Ikea, semiosfera che circonda Yorgo giovane controtenore ateniese privo di un’occupazione fissa e del tutto in bolletta costantemente accompagnato dal lamento del suo ventre vuoto oltre che dal suo inseparabile canarino con il quale divide il poco cibo disponibile.


 
Un sorprendente Yiannis Papadopoulos riempie la pellicola, vero e proprio involucro di dolore bergmaniano, pronto a divorare ogni avanzo, a trangugiare qualsiasi rimasuglio commestibile, residuo egli stesso, modello d’esistenza adibita alla subalternità, individuo a basso dosaggio vitale tiranneggiato all’uso sussultorio dei pani ignobili per dirla alla Piero Camporesi. Ma Yorgo non ne pare addomesticato, anzi la marcata tinteggiatura ascetica ne fa un personaggio quasi pasoliniano, lettura del resto confermata dallo stesso regista: per me, questo film parla di un uomo che diventa poco a poco un santo, ma non nel senso cristiano del termine: intendo che il personaggio si batte per restare puro in una situazione molto dura […] un sentimento di dignità e di fierezza che turba.





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