venerdì 31 gennaio 2014

Szegénylegények


Szegénylegények aka The Round-Up
Ungheria, 1966
94 min.
Regia: Miklós Jancsó
Sceneggiatura: Gyula Hernadi
Fotografia: Tamas Somlo
Cast: Janos Görbe, Janos Gajdor, Andras Kozak, Gabor Agardy, Zoltan Latinovits, Istvan Avar, Lajos Öze, Bela Barsi, Rudolf Somogyvári
 

Il film è ambientato nell'Ungheria contadina del 1869 ed è tutto imperniato attorno alle persecuzioni attuate dalla polizia ungherese, per conto degli Asburgo, nei confronti di un gruppo di ribelli, capeggiati da Rózsa Sándor, sopravvissuti alla repressione seguita ai moti del 1848-49.
L'opera è costruita in modo da avere molti piani di lettura, si ha il quadro di un lavoro che in apparenza non fa che stigmatizzare la barbarie asburgica, mentre in realtà affronta problemi di ben più vasta portata.



In Szegénylegények l'oppressore 'mitologico', cioè lo sgherro austriaco, non compare mai, sono gli stessi poliziotti ungheresi a perseguitare altri ungheresi.
Jancsó punta il dito contro una delle tare ataviche dei suoi compatrioti, facendo crollare il mito secondo il quale la responsabilità storica di tutti i mali del paese è da attribuirsi ai vari dominatori stranieri succedutisi nel corso dei secoli, mentre in realtà questi, per imporre il loro dominio, sfruttavano il potere di personalità e organizzazioni ungheresi, nonché una sorta di indifferenza o conformismo della popolazione.
Il senso di responsabilità di un'intera nazione viene messo in discussione, vi è una sorta di 'chiamata di correo' rispetto alla travagliata storia del paese.
Jancsó parallelamente critica e condanna anche chi il potere lo esercita illustrandone tutti i meccanismi perversi e anche agendo su alcuni particolari della contestualizzazione spazio-temporale del film.
In questo modo il cineasta decontestualizza la problematica del potere e della sua gestione, ed estende la sua condanna alle atrocità compiute in ogni tempo, da qualsiasi regime.
L'abbondante uso di metafore, la destrutturazione della 'consecutio temporum' cinematografica, i dialoghi scarni, i riferimenti colti o le particolarità di carattere storico, le contraddizioni interne della narrazione, gli stessi movimenti in circoli infiniti della macchina da presa e l'uso del piano-sequenza, fanno parte, non solo di una scelta stilistica, ma anche della volontà di lanciare messaggi a chi vuole e può vedere oltre e dentro l'immagine, fra gli infiniti piani che l'hanno determinata.
Amedeo Boros




IN MEMORIAM 
27 settembre 1921 – 31 gennaio 2014

giovedì 30 gennaio 2014

Wife's knife


 Wife’s knife
Giappone, 2006
10 min.
Scritto e diretto da Yoshihiro Ito

 

È mai possibile che questa donna che non sa discorrere se non di spese, né sa sorridere fuorché al buon mercato; è davvero possibile che questa sia la mia Vàrja si chiede perplesso il protagonista di Una storia noiosa di Cechov seduto sul suo letto dopo l’ennesima notte insonne e l’ennesima visita della moglie ad annunciare l’inizio di una nuova giornata; è curioso che venga in mente Cechov durante la visione di questo sorprendente cortometraggio di Yoshihiro Ito, ma l’inesorabile ciclicità del tempo che nel racconto del romanziere russo sfiorisce il ricordo e il presente in Wife’s knife assume le sembianze di un’enigmatica clessidra che circoscrive i gesti del terrorizzato marito; sempre ammesso che possa esistere una qualsivoglia logica, a maggior ragione di coppia, nelle singolari visioni del cineasta giapponese visto che egli stesso tende a chiederla a chi visiona i suoi lavori com’è accaduto al pubblico del Raindance Film Festival dove i suoi cortometraggi sono stati proiettati.



Un mondo sgranato e claustrofobico al quale non si può fare il torto di tacere l’influenza di Shinya Tsukamoto anche se il lavoro di Ito è decisamente più sfuggevole e ambivalente considerata la marcata propensione al bizzarro; si resta passivi e inermi dinanzi allo svolgersi degli accadimenti, complice il 16 mm che proietta lo spettatore, alter-ego del protagonista in un universo stratificato e sinistro solcato da stati onirici angoscianti, immagini più grezze, più chiaramente neurologiche, e non personali come quelle dell’immaginazione o del ricordo. L’umanità nella visione del cineasta giapponese è come una maldestra escrescenza di carne che rimbalza su se stessa in un vortice infinito, eppure, in qualche modo, questa visione piuttosto pessimistica è resa senza alcuna malizia o cinismo; una desolazione grottesca dalla quale in filigrana affiora un candore quasi naif.




martedì 28 gennaio 2014

Postava k podpírání


Postava k podpírání aka Joseph Kilian
Cecoslovacchia, 1963
38 min.
Scritto e diretto da Pavel Juracek & Jan Schmidt


Cosa hanno in comune un uomo alla ricerca di una sua vecchia conoscenza e il noleggio di un gatto, interminabili corridoi spogli e l’effige di Stalin appoggiata alla parete di un sottoscala, una lettera della propria madre e il paternalismo burocratico…
Pavel Juracek e Jan Schmidt condensano in poco più di trenta minuti un vero e proprio manifesto.
Le istanze di una generazione di cineasti che prende nettamente le distanze dal condizionamento del realismo socialista della passata produzione cinematografica.
Un corto graffiante, ricco di sfumature ironiche e grottesche, precursore di molti di quei temi che di lì a poco sarebbero esplosi in quella straordinaria stagione cinematografica e non solo conosciuta come Nova Vlna.



Non appena si conferisce a una scena comica un ritmo inadeguato e non appena questa scena si disgrega, si assiste a un fenomeno particolare: la barzelletta o la gag diventano qualcosa di mostruoso. Immaginatevi un delizioso cuccioletto grande come un elefante... l'umorismo di Postava k podpírání è deformato proprio in questa maniera. Solo che io l'ho fatto senza averne alcuna coscienza e, quindi, in maniera dilettantesca. La tecnica di questa particolare maniera l'ho scoperta quando ero già nel post scriptum.
Pavel Juracek




domenica 26 gennaio 2014

Hako

 
Hako aka The box
Giappone, 2003
66 min.
Regia, soggetto, sceneggiatura, musica: Nakajima Kanji
Fotografia: Yamaoka Kazuma
Scenografia: Katsuta Akira, Cho Takayuki, Nakai Toshiaki, Aiba Emiko
Produttore: Kobayashi Yoshikazu
Cast: Hayashi Koichi, Yamazaki Shigenori, Masaki Chie, Miura Tom


La storia è ambientata in un ipotetico futuro in cui l'alta tecnologia è integrata in ambientazioni di sapore nostalgico. Sotto l'albero esausto è costruita una macchina capace di mantenerlo in vita. Qui vive un vecchio artigiano che si occupa della manutenzione. «The box», la scatola da lui costruita, si aggira lungo la vecchia ferrovia impossessandosi dei ricordi della gente e delle vicende del villaggio. L'artigiano è preoccupato per «the box» e pensa di non aver ancora soddisfatto i suoi desideri. Tutto cambia nel villaggio dopo la morte del vecchio, la caduta dell'albero, il guasto della scatola...
Tratto da torinofilmfest.org



Hako di Kanji Nakajima è un viaggio nella rarefazione filosofica di un'utopia misteriosa (e forse anche misterica...), la parabola sgranata nel bianco e nero di uno sporco 16mm di un'umanità sospesa tra il verde degli alberi e le sfumature metalliche di un mondo ciberneticamente naturale[…] Un film liminare, stranamente oscuro nella sua limpidezza, contrastato nel bianco e nero che riproduce il contraddittorio inespresso nella materia delle mutazioni tra ciò che pulsa di vita e ciò che forma la vita. Kanji Nakajima è una sorta di Tsukamoto meno meccanico e più metafisico, autore di un cinema che si offre come riquadro utopico sull'impossibilità di una realtà del presente...
Tratto da sentieriselvaggi.it




venerdì 24 gennaio 2014

Põrgu


Põrgu aka Hell
Estonia, 1983
17 min.
Regia:   Rein Raamat
Musiche originali: Lepo Sumera
Produzione: TallinnFilm


Põrgu è uno straordinario corto d'animazione filmato nel 1983 da Rein Raamat, sceneggiatore e documentarista oltre che disegnatore, ispirato da tre allucinate stampe datate 1930 dell'artista estone Eduard Viiralt, Il predicatore (1930), Cabaret (1931) e Inferno (1930/1932), cupissime e grottesche rappresentazioni dei fantasmi che agitavano l'Europa nel decennio precedente il secondo conflitto mondiale. Raamat mantiene intatta la pungente e grottesca intensità delle opere in una danza macabra a cui è difficile rimanere indifferenti, allucinata pantomima di individui consacrati alla spensieratezza ed il suo benefico oblio di ogni cura giornaliera.



L’Europa cade in rovina. Gracchiano i violini di un’orchestrina gitana. Decine di migliaia di persone muoiono ogni giorno. La cena è finita, inizia il ballo in maschera. Vedove siedono infreddolite in tutte le stanze del mondo. Con spalle scoperte si fa innanzi una marchesa, un cinese mascherato, le si fa incontro. Maschere e maschere si fanno avanti. E sono vere, davvero. Non un volto umano tra loro. Il candeliere a specchio arde. La danza ha inizio. Una cadenza dolce e languida, mentre da qualche parte, ora, le navi solcano le profondità e le trincee sono prese d’assalto.
Stefan Zweig