giovedì 27 febbraio 2014

Portret mezcyzny z medalem


Portret mezcyzny z medalem
Polonia, 1959
12 min.
Scritto e diretto da Witold Leszczynski
Fotografia: Andrzej Kostenko e Mieczyslaw Matysz
Interpreti: Stanislaw Chybowski, Elzbieta Szymanowska, Adam Pawlikowski


Un uomo viene svegliato da un bizzarro sogno in cui rischia d’essere travolto da dei cavalli al galoppo da una lettera che uno sconosciuto infila sotto la sua porta, questi lo sollecita a intraprendere un viaggio di cui al protagonista non è dato conoscere né destinazione né motivo. Altro gioiellino della scuola di Lódz – questo cortometraggio valse a Leszczynski il diploma di operatore - enigmatico e surreale già porta in nuce quell’attenzione quasi manicale alla plasticità del mezzo cinematografico e l’ossessione simbolica che designeranno il suo cinema negli anni a venire.



Il fatto di essere nel mondo con le nostre percezioni, le nostre sensazioni e le nostre conoscenze, non è ancora sufficiente per agire. Perché possa darsi potere di azione, occorre che il possibile superi l’attuale. Occorre che il mondo contenga dell’indeterminato, un tempo aperto in divenire, ovvero un presente che racchiuda biforcazioni possibili e dunque possibilità di scelta.
Maurizio Lazzarato




martedì 25 febbraio 2014

Pus


Pus aka Haze
Turchia/Grecia, 2010
109 min.
Scritto e diretto da Tayfun Pirselimoglu
Fotografia: Ercan Ozkan
Cast: Mehmet Avci, Birol Engeler, Serkan Keskin, Ruhi Sari, Nurcan Ulger, Bahar Yanilmaz


Resat è un giovane solitario e introverso al limite dell’autismo che lavora in un garage adibito a bottega dove si producono DVD pirata, vive una ripetitiva e grigia quotidianità dove l’unica interazione col mondo che lo circonda è rappresentata da piccoli furti, sottrazioni cui lo sguardo perso nel vuoto del protagonista non sembra dare la minima importanza, ma che inspiegabilmente lo coinvolgerà nel momento in cui riuscirà a mettere le mani su di un pacchetto lasciato nella bottega dove lavora da un discusso figuro di nome Celal amico del suo capo. All’interno ci sono una pistola e una fotografia con un indirizzo cui dare un senso.



Più che dell’appropriazione dell’identità altrui o un illogico gioco di ruoli il cineasta turco, come negli altri due film della trilogia Sac e Riza, posa il suo sguardo gelante su corpi disabitati, incoerenti, praticamente muti – buffo considerato che Pirselimoglu oltre che regista è anche scrittore con ben quattro romanzi all’attivo - smarriti nella ripetitività apparentemente dissennata delle circostanze, uno scenario edulcorato dal retrogusto surreale di alcune sequenze ma che non ammette alcuna via d’uscita.