martedì 18 febbraio 2014

Amerika


Amerika
Repubblica Ceca, 1994
86 min.
Regia: Vladimír Michálek
Sceneggiatura: Vladimír Michálek, Martin Duba, dall'omonimo romanzo incompiuto di Franz Kafka.
Operatore: Martin Duba
Musica: Michal Dvorak, David Koller
Personaggi e interpreti: Karl Roßmann - Martin Dejdar, Zio/Padre - Jiri Labus, Clara - Jarka Rytychová, Teresa - Catherine Kozáková, il fuochista - Jiří Schmitzer, Delamarche - Oldřich Kaiser, Robinson - Pavel Landovský, Brunelda - Libuše Tomanová, Mack - Tomáš Vorel, Greene - Pavel Nový, Pollunder - Milan Riehs.


Scacciato dalla propria famiglia per una presunta colpa, il giovane Karl Roßmann decide di sbarcare in America, dove viene accolto dallo zio. Curioso e tenace si impegna a fondo per cominciare una nuova vita, ma ogni previsione viene disattesa, si trova scaraventato ad un tratto in un mondo che contraddice le sue aspettative e sfugge completamente a ogni possibilità di determinazione e di controllo.



Vladimír Michálek filma la sua Amerika con occhio cinico e disincantato sin dall’arrivo della nave nel porto, dove un posticcio skyline circondato da una luce innaturale accoglie le speranze del giovane Karl. La vastità del nuovo mondo viene relegata al ruolo di mera scenografia affidata ai fondali privi di qualsiasi riferimento spaziale o temporale degli esterni, ai macchinari e ai sontuosi marmi degli interni della casa dello zio del protagonista, grottesca maschera del self-made man, apologeta del lavoro e del merito dal quale, per la seconda volta, il protagonista riceverà la sua espulsione. Ed è sui personaggi, che nel romanzo si presentano possenti fin nella loro fisicità allo sguardo dell’ingenuo Karl, che l’occhio del regista si dimostra meno indulgente arrivando a svuotarli della loro stessa materialità; tirapiedi, alcolizzati, pseudo artisti, vagabondi, porzione di un’umanità seriale e cinica, anonima platea che costringe all'immobilità lo sguardo per giorni, sottraendolo a quel “teatro quasi sconfinato” dove, come lo stesso Kafka confidò all’amico Max Brod, il giovane eroe avrebbe trovato, come per una celeste magia, un mestiere, la libertà, un sostegno, perfino la patria e i genitori.



È come se Karl portasse in dono all’America quella visione iperreale che soltanto l’obbiettivo ci concede. Nella sua valigia da emigrante nascondeva l’allucinazione del cinema. 
Roberto Calasso



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