Szegénylegények aka The Round-Up
Ungheria, 1966
94 min.
Regia: Miklós Jancsó
Sceneggiatura: Gyula Hernadi
Fotografia: Tamas Somlo
Cast: Janos Görbe, Janos Gajdor, Andras Kozak, Gabor Agardy, Zoltan Latinovits, Istvan Avar, Lajos Öze, Bela Barsi, Rudolf Somogyvári
Ungheria, 1966
94 min.
Regia: Miklós Jancsó
Sceneggiatura: Gyula Hernadi
Fotografia: Tamas Somlo
Cast: Janos Görbe, Janos Gajdor, Andras Kozak, Gabor Agardy, Zoltan Latinovits, Istvan Avar, Lajos Öze, Bela Barsi, Rudolf Somogyvári
Il film è ambientato nell'Ungheria contadina del 1869 ed è tutto
imperniato attorno alle persecuzioni attuate dalla polizia ungherese,
per conto degli Asburgo, nei confronti di un gruppo di ribelli,
capeggiati da Rózsa Sándor, sopravvissuti alla repressione seguita ai
moti del 1848-49.
L'opera è costruita in modo da avere molti piani di lettura, si ha il
quadro di un lavoro che in apparenza non fa che stigmatizzare la
barbarie asburgica, mentre in realtà affronta problemi di ben più vasta
portata.
In Szegénylegények l'oppressore 'mitologico', cioè
lo sgherro austriaco, non compare mai, sono gli stessi poliziotti
ungheresi a perseguitare altri ungheresi.
Jancsó punta il dito contro una delle tare ataviche dei suoi compatrioti, facendo crollare il mito secondo il quale la responsabilità storica di tutti i mali del paese è da attribuirsi ai vari dominatori stranieri succedutisi nel corso dei secoli, mentre in realtà questi, per imporre il loro dominio, sfruttavano il potere di personalità e organizzazioni ungheresi, nonché una sorta di indifferenza o conformismo della popolazione.
Il senso di responsabilità di un'intera nazione viene messo in discussione, vi è una sorta di 'chiamata di correo' rispetto alla travagliata storia del paese.
Jancsó parallelamente critica e condanna anche chi il potere lo esercita illustrandone tutti i meccanismi perversi e anche agendo su alcuni particolari della contestualizzazione spazio-temporale del film.
In questo modo il cineasta decontestualizza la problematica del potere e della sua gestione, ed estende la sua condanna alle atrocità compiute in ogni tempo, da qualsiasi regime.
Jancsó punta il dito contro una delle tare ataviche dei suoi compatrioti, facendo crollare il mito secondo il quale la responsabilità storica di tutti i mali del paese è da attribuirsi ai vari dominatori stranieri succedutisi nel corso dei secoli, mentre in realtà questi, per imporre il loro dominio, sfruttavano il potere di personalità e organizzazioni ungheresi, nonché una sorta di indifferenza o conformismo della popolazione.
Il senso di responsabilità di un'intera nazione viene messo in discussione, vi è una sorta di 'chiamata di correo' rispetto alla travagliata storia del paese.
Jancsó parallelamente critica e condanna anche chi il potere lo esercita illustrandone tutti i meccanismi perversi e anche agendo su alcuni particolari della contestualizzazione spazio-temporale del film.
In questo modo il cineasta decontestualizza la problematica del potere e della sua gestione, ed estende la sua condanna alle atrocità compiute in ogni tempo, da qualsiasi regime.
L'abbondante uso di metafore, la destrutturazione della 'consecutio
temporum' cinematografica, i dialoghi scarni, i riferimenti colti o le
particolarità di carattere storico, le contraddizioni interne della
narrazione, gli stessi movimenti in circoli infiniti della macchina da
presa e l'uso del piano-sequenza, fanno parte, non solo di una scelta
stilistica, ma anche della volontà di lanciare messaggi a chi vuole e
può vedere oltre e dentro l'immagine, fra gli infiniti piani che l'hanno
determinata.
Amedeo Boros
IN MEMORIAM
27 settembre 1921 – 31 gennaio 2014
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