giovedì 31 luglio 2014

Jao nok krajok


Thailandia, 2009
82 min.
Scritto e diretto da Anocha Suwitchakornpong
Fotografia: Ming Kai Leung
Montaggio: Parinda Moongmaipho
Cast: Phakpoom Surapongsanurak, Arkaney Cherkham, Paramej Noieam, Anchana Ponpitakthepkij, Karuna Looktumthong

 
Nella grande casa borghese che condivide con il padre, il giovane Ake è costretto a letto a causa di un incidente che lo ha paralizzato. Dipendente dagli altri e carico di rabbia repressa, trascorre le giornate in silenzio e nel dolore. Pun, un aiuto infermiere, si impegna nel prendersi cura di lui.
I due uomini parlano a malapena eppure in contatto con Pun l'universo di Ake appare meno immobile.


 
La regista Anocha Suwitchakornpong è stata scoperta in ambito internazionale grazie al suo cortometraggio Graceland, l’unico film thailandese presente nel programma dei corti Cinefondation al Festival di Cannes. Ma è in questo primo lungometraggio, un’opera prima molto ambiziosa premiata con il Tiger al Festival di Rotterdam, che il suo stile decisamente originale si è espresso in tutta la sua potenza [...] Inizialmente la regista gioca a condurci in territori conosciuti: per mezzo di lunghe scene delineate tra loro da tagli netti ci narra il graduale e drammatico risveglio di Ake, che passa da un’amara rassegnazione al desiderio di una svolta. Nella seconda parte, però, il film si rivela in un’esplosione inattesa con una riflessione sulla vita in tutte le sue fasi, dalla nascita alla morte; in quello stesso momento, il normale flusso temporale si libera dei lacci del tempo ed inizia il suo girovagare, abbandonando il percorso lineare seguito fino ad allora. Gli sbalzi tra passato e presente comprendono insistite ripetizioni temporali che riflettono i ritmi di una persona paralizzata, in cui ogni giornata può sembrare tristemente uguale alla precedente. Bisogna ammettere però che, a lungo andare, l’operazione, molto studiata, risulta faticosa da seguire, e perde un po’ di naturalezza.



A questa riflessione sul Tempo si aggiunge poi quella politica: ogni membro della famiglia di Ake (ivi compresa la casa stessa) rappresenta un particolare aspetto della società thailandese. Una metafora che deve essere ben evidente per un thailandese, tanto che la regista temeva qualche taglio della censura per fortuna evitato; peccato però che chi non ha conoscenze specifiche di quella cultura faccia fatica ad afferrarne i riferimenti e si concentri più sulla parte drammatica e umana della storia, che pure risulta ricca di una sensibilità affatto scontata. Un’opera prima coraggiosa, dunque, densa e sicuramente affascinante, che cattura l’attenzione ed emoziona pur se non se ne afferrino tutti i legami.
Recensione di Paola Galgani




Nessun commento:

Posta un commento