Cecoslovacchia, 1966
68 min.
Scritto e diretto da Jan Nemec
Un
gruppo di amici partecipa a un pic-nic nel bel mezzo di una natura rigogliosa,
in un'atmosfera di buonumore e rilassatezza, ma l'arrivo di uno stravagante
individuo e dei suoi compagni rompe questo clima sereno e gioioso. Questi
prende a braccetto uno dei partecipanti, e lo porta lontano seguito dagli altri
membri della compagnia, tutto accade all'improvviso e inopinatamente, nessuno
oppone resistenza tranne questi che incredulo dell’arrendevolezza dei suoi
amici chiede spiegazioni agli sconosciuti dai quali non otterrà altro che tutta
una serie di risposte paradossali che porteranno alla conclusione che tutto
quanto era solo una farsa ideata da Rudolf,
il figlio adottivo del padrone di casa,
per divertirsi assieme ai suoi amici. Il padrone di casa, o meglio l’anfitrione, sopraggiunto nel
frattempo, scusandosi del comportamento del ragazzo invita tutti a una tavolata
nella sua tenuta come se nulla fosse accaduto e solamente uno del gruppo trova
da ridire (il moralista interpretato
da Evald Schorm altro grande regista
della Nová Vlna) sulla grossolanità
dello scherzo e sull’atteggiamento della compagnia, che è disposta ad accettare
tutto in silenzio e a lasciarsi intimidire e di conseguenza decide di
abbandonare il banchetto in segno di disapprovazione. La compagnia allora si
mette alla sua ricerca; la caccia è aperta…
O slavnosti a hostech è il secondo lungometraggio di Jan Nemec dopo lo straordinario esordio con
l’allucinato Démanty noci è opera forse meno fascinosamente
visionaria, ma come questa moralmente
tesa e più di questa lucida e virilmente coraggiosa nel fornire gli elementi di
una disincantata consapevolezza sulla condizione di provvisorietà e di
subordinazione dell'individuo nella società moderna. Si tratta di un’opera di lenta penetrazione, nel suo
stile figurativo scabro e severo, di lettura non facile pur nella sua apparente
"oggettività", la pellicola bolla soprattutto l'indifferenza e il
conformismo, cioè il contagio al quale tutti (o quasi tutti) soccombono quando
si trovano di fronte a una decisa volontà di sopraffazione… lettura che lo
stesso regista slega dal periodo storico in cui il film è stato girato
rivendicando il rapporto permanente oppressione-abdicazione
che investe l’agire Politico: per quel
che riguarda la mia esperienza, qui, dove ho vissuto la maggior parte della mia
vita, tutto è comunque legato alla Politica: i tedeschi occuparono la
Cecoslovacchia, alcuni cechi diventarono collaborazionisti, addirittura
delatori, poi c’è stato l’avvento del comunismo nel ’48 e la gente ha fatto lo
stesso, all’inizio del ’68, con l’avvento di Dubček, la gente di nuovo s’è
messa dalla sua parte, poi nell’agosto del ’68 nuovo cambiamento, l’invasione
dei carri armati sovietici e ancora una volta c’è stato chi è saltato sul carro
dei vincitori. Adesso sono arrivati i soldi, c’è stato Havel, ora c’è Klaus,
poi arriverà qualcun altro, e di nuovo c’è chi passerà dalla parte di quelli
che contano in quel particolare momento. È dunque un triste principio generale
[…] fa tutto parte di un balletto di potere.
Atemporalità fortemente ricercata
e sottolineata dal regista: non si vedono
pompe di benzina o altri riferimenti temporali chiari, i vestiti sono in
sostanza gli stessi abiti borghesi che si portano in Europa da due secoli.
Il tutto pare sospeso è inafferrabile grazie anche alla sorprendente fotografia
di Jaromìr Sofr al quale Nemec chiese di accostarsi alle tonalità
di L'année dernière à Marienbad
pellicola molto amata dal regista ceco. La stessa compagnia nella sua
mescolanza dei ruoli attua una totale negazione delle regole drammaturgiche della
divisione in eroi e antieroi: qui, in
definitiva, l’unico eroe non fa nessun gesto significativo, non uccide nessuno,
non si suicida, non pronuncia frasi altisonanti, ma semplicemente sparisce!
Citazioni tratte dal libro Jan Nemec a cura di Paolo
Vecchi
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