giovedì 23 aprile 2015

O Slavnosti A Hostech


Cecoslovacchia, 1966
68 min.
Scritto e diretto da Jan Nemec

 
Un gruppo di amici partecipa a un pic-nic nel bel mezzo di una natura rigogliosa, in un'atmosfera di buonumore e rilassatezza, ma l'arrivo di uno stravagante individuo e dei suoi compagni rompe questo clima sereno e gioioso. Questi prende a braccetto uno dei partecipanti, e lo porta lontano seguito dagli altri membri della compagnia, tutto accade all'improvviso e inopinatamente, nessuno oppone resistenza tranne questi che incredulo dell’arrendevolezza dei suoi amici chiede spiegazioni agli sconosciuti dai quali non otterrà altro che tutta una serie di risposte paradossali che porteranno alla conclusione che tutto quanto era solo una farsa ideata da Rudolf, il figlio adottivo del padrone di casa, per divertirsi assieme ai suoi amici. Il padrone di casa, o meglio l’anfitrione, sopraggiunto nel frattempo, scusandosi del comportamento del ragazzo invita tutti a una tavolata nella sua tenuta come se nulla fosse accaduto e solamente uno del gruppo trova da ridire (il moralista interpretato da Evald Schorm altro grande regista della Nová Vlna) sulla grossolanità dello scherzo e sull’atteggiamento della compagnia, che è disposta ad accettare tutto in silenzio e a lasciarsi intimidire e di conseguenza decide di abbandonare il banchetto in segno di disapprovazione. La compagnia allora si mette alla sua ricerca; la caccia è aperta…



 
O slavnosti a hostech è il secondo lungometraggio di Jan Nemec  dopo lo straordinario esordio con l’allucinato Démanty noci è opera forse meno fascinosamente visionaria, ma come questa moralmente tesa e più di questa lucida e virilmente coraggiosa nel fornire gli elementi di una disincantata consapevolezza sulla condizione di provvisorietà e di subordinazione dell'individuo nella società moderna. Si tratta di un’opera di lenta penetrazione, nel suo stile figurativo scabro e severo, di lettura non facile pur nella sua apparente "oggettività", la pellicola bolla soprattutto l'indifferenza e il conformismo, cioè il contagio al quale tutti (o quasi tutti) soccombono quando si trovano di fronte a una decisa volontà di sopraffazione… lettura che lo stesso regista slega dal periodo storico in cui il film è stato girato rivendicando il rapporto permanente oppressione-abdicazione che investe l’agire Politico: per quel che riguarda la mia esperienza, qui, dove ho vissuto la maggior parte della mia vita, tutto è comunque legato alla Politica: i tedeschi occuparono la Cecoslovacchia, alcuni cechi diventarono collaborazionisti, addirittura delatori, poi c’è stato l’avvento del comunismo nel ’48 e la gente ha fatto lo stesso, all’inizio del ’68, con l’avvento di Dubček, la gente di nuovo s’è messa dalla sua parte, poi nell’agosto del ’68 nuovo cambiamento, l’invasione dei carri armati sovietici e ancora una volta c’è stato chi è saltato sul carro dei vincitori. Adesso sono arrivati i soldi, c’è stato Havel, ora c’è Klaus, poi arriverà qualcun altro, e di nuovo c’è chi passerà dalla parte di quelli che contano in quel particolare momento. È dunque un triste principio generale […] fa tutto parte di un balletto di potere.


 
Atemporalità fortemente ricercata e sottolineata dal regista: non si vedono pompe di benzina o altri riferimenti temporali chiari, i vestiti sono in sostanza gli stessi abiti borghesi che si portano in Europa da due secoli. Il tutto pare sospeso è inafferrabile grazie anche alla sorprendente fotografia di Jaromìr Sofr al quale Nemec chiese di accostarsi alle tonalità di L'année dernière à Marienbad pellicola molto amata dal regista ceco. La stessa compagnia nella sua mescolanza dei ruoli attua una totale negazione delle regole drammaturgiche della divisione in eroi e antieroi: qui, in definitiva, l’unico eroe non fa nessun gesto significativo, non uccide nessuno, non si suicida, non pronuncia frasi altisonanti, ma semplicemente sparisce!
Citazioni tratte dal libro Jan Nemec a cura di Paolo Vecchi




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